Considerazioni sul peccato originale nell'opera di Tolkien

di Marco Messina

Versione 1; 2/03/2004


Come desumibile dal saggio On Fairy Stories la Ea tolkieniana, in quanto sub-creazione, è rappresentazione, ad un diverso stadio immaginativo, della creazione divina ovvero del nostro universo. Può pertanto essere legittimo, operando nell'ottica di tale gioco di specchi tra mondo creato (originale) e mondo immaginario (sub-creato), indagare sulle possibili corrispondenze tra i due livelli. In questo breve saggio si vogliono presentare in particolare elementi relativi alla concezione tolkieniana del peccato originale.

Tolkien, durante la lunga redazione dei suoi miti, aveva ben presente una propria concezione del "peccato originale". Nelle sue opere e nella sua corrispondenza accennò molte volte alla fondamentale presenza nel mondo sub-creato del tema della "caduta", sia degli Elfi che degli Uomini. Tale concezione rifletteva direttamente la percezione che egli aveva della natura imperfetta e decaduta del mondo creato. La Caduta degli Uomini ovvero, si potrebbe dire, Il Peccato Originale (ma Tolkien non lo nomina mai in questo modo), viene menzionata di sfuggita nella Lettera 131 a Milton Waldman (probabilmente datata 1951). In essa Tolkien spiega che, essendo elfico il punto di vista della narrazione mitica del Silmarillion, l'originale caduta degli uomini non viene raccontata nel corpus delle leggende. Nonostante ciò in un lavoro composto successivamente (databile tra il 1955 e il 1959): The Tale of Adanel (appendice ad Athrabeth Finrod ah Andreth, riportato in Morgoth's Ring, X volume della History of Middle-earth, a pag. 345) Tolkien ne elaborò una sua personale versione [1].
In esso viene raccontata la caduta degli Uomini "neo-nati" in termini molto simili al peccato originale biblico in quanto, anche in tal caso, la caduta avviene per desiderio di conoscenza. La vicenda viene di seguito brevemente riassunta.

All'alba dei tempi gli Uomini non avevano ancora sviluppato il linguaggio per esprimersi e muovevano i loro primi passi sulla terra sconosciuta. Nel loro cuore essi udivano una misteriosa Voce che ad essi si rivolgeva per istruirli ed infondergli il sapere. La voce, spiega Tolkien, era quella di Eru che aveva scelto questo modo per comunicare ai suoi figli secondogeniti i propri insegnamenti, impartendoli solo al momento opportuno. Inizialmente gli Uomini prestarono ascolto alla Voce, ma con il passare del tempo, essendo bramosi di apprendere conoscenze nuove e di precorrere le tappe del loro sviluppo, cessarono di interrogarla e di darle ascolto. Tempo dopo apparve un personaggio bello, maestoso, luminoso e terribile che promise loro la "conoscenza". In breve questa creatura, autodefinitasi il padrone dell'Oscurità e creatore della Luce [2], consegnò agli uomini conoscenze sempre più progredite e fece loro erigere un tempio per la sua adorazione. In questo luogo egli si manifestava e in breve tempo iniziò ad esigere sacrifici sempre più nefandi, perfino quelli umani, in cambio delle sue apparizioni. Costui sarebbe Melkor che distogliendo gli Uomini da Eru li corrompe irrimediabilmente [3].
La storia prosegue, ma non vale la pena di riassumerla ulteriormente dato che il suo interesse risiede nell'analisi del testo e che le vicende successive esulano dall'attuale argomento.



[1] Questo componimento è stato pubblicato postumo. Non si può pertanto sapere se e come Tolkien l'avrebbe incluso nel corpus. E' comunque importante sottolineare che, nelle note al brano, Tolkien afferma di non voler rendere le proprie leggende inventate una banale parodia del cristianesimo.

[2] E' importante notare come Tolkien ricorresse continuamente a questo tipo di raffigurazione luminosa e risplendente per descrivere Melkor e Sauron nel corso delle loro perfide lusinghe. La luce corrotta e corruttrice compare infatti, oltre al racconto in esame, nei seguenti componimenti: Gli Anelli del Potere, Akallabeth, il filone delle leggende "numenoreane" presentato nei volumi V e IX della History of Middle-earth. Inoltre, varie stesure dei primi capitoli del Silmarillion mostrano Melkor come creatura ammantata di luce irresistibile e desiderosa di possedere sempre più luce (Cfr. Miths Transformed anch'esso contenuto in Morgoth's Ring).

[3] Inizialmente si era presentato dicendo «Sono il datore di doni» perfettamente analogo al nome Annatar (Signore dei Doni) assunto molto più tardi da Sauron. Si noti anche che Sauron si riferisce a Morgoth chiamandolo «Il Datore di Libertà» quando corrompe Ar-Pharazôn.

 Copyright © 02/03/2004 Marco Messina.
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